Le
origini
La storia del cioccolato ha origini antichissime. I primi
a coltivare la pianta del cacao nell'America centrale furono
i Maya, intorno al 1000 a.C., e in seguito
gli Aztechi. La leggenda vuole che Quetzalcoàtl,
dio azteco, prima di scomparire dal mondo donò ai
mortali il seme del cacao con il quale si preparava una
bevanda amara e piccante dalle straordinarie qualità
energetiche e afrodisiache. In suo onore questo seme venne
chiamato dapprima cacahualt e poi chocolatl, anticipando
il nome rimasto sostanzialmente simile in quasi tutte le
trecento lingue del mondo.
Fin qui la storia si confonde con la leggenda. Quel che
è certo, invece, è che nel 1502, al
quarto e ultimo viaggio nelle Indie, Cristoforo Colombo
sbarcò nelle terre dell'Honduras dove gli vennero
offerti semi di cacao e la bevanda ricavata da essi. Il
sapore della cioccolata di quei tempi non doveva essere
particolarmente gradevole per gli europei tanto che Colombo
non vi diede alcuna importanza.
Diciassette anni più tardi, nel 1519, Hernàn
Cortéz, giunto dalla Spagna per conquistare la
Nuova Terra, venne scambiato per il dio Quetzacoalt, che
secondo la leggenda sarebbe tornato proprio in quell'anno,
e per questo accolto pacificamente dall'imperatore Montezuma.
Gli fu offerta una piantagione di cacao e i profitti tratti
da essa. Cortéz comprese subito il valore economico
del cacao e lo portò con sé in Spagna. Qui
furono i frati, grandi esperti di miscele e infusi, a sostituire
il pepe e il peperoncino con lo zucchero e la vaniglia creando
una bevanda dolce e gustosa. E così, per quasi tutto
il Cinquecento la scoperta di Cortéz rimase un grande
"affare" della Corte spagnola.
Grazie a un commerciante fiorentino, Antonio Carletti,
la cioccolata arrivò nel 1606 in Italia, e
solo nove anni dopo nel resto dell'Europa. Fino al 1700
era conosciuta solamente come bevanda, e le si attribuivano
le più straordinarie qualità benefiche. Dal
1700 in poi si comincia ad apprezzare questo "miracoloso"
ingrediente anche sotto forma di solido, venduto a tocchi...
e da qui nasceranno i più famosi dolci al cioccolato.
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I
grandi amanti del cioccolato
L'elenco è sconfinato: scrittori, musicisti, principi,
re, imperatori e perfino papi, hanno avuto una passione
travolgente per il cacao. Proprio a proposito di papi, Pio
V nel 1569 zittì chi era contrario al consumo
di cioccolato durante i periodi di digiuno affermando ufficialmente
che una tazza di cioccolata, in quanto liquida, era certamente
consentita.
Per passare ai re, in Francia non ne potevano fare a meno
Madame de Maintenon, sposa del Re Sole, le favorite
di Luigi XV e Maria Antonietta, moglie di Luigi XVI,
che viaggiava sempre con il suo cioccolataio personale.
Ma la passione non era solo dei regnanti: lo stesso Voltaire,
dicono, consumava in tarda età nell'arco di metà
giornata una dozzina di tazze di cioccolata che riteneva
sostanziosa e gratissima al palato.
In Italia, nella Venezia del Settecento, le botteghe del
caffé erano anche botteghe della cioccolata. Goldoni
nelle sue commedie testimonia più volte la diffusione
di tale delizia elogiandone le qualità, così
come la "Gazzetta veneta" diretta da Gaspare Gozzi
documentava nel 1760-61 l'enorme diffusione della bevanda.
A Venezia la conosceva bene Giacomo Casanova, grande
sostenitore delle sue qualità afrodisiache, e che
per questo ne faceva largo uso.
Anche Goethe amava follemente il cioccolato tanto
da offrire fiori e cioccolatini per conquistare i favori
dell'amata accompagnando i doni con questa frase: "Alla
mia amata io mando dolci e fiori perché capisca come
sia dolce e bello il mio amore per lei". E mentre in Germania
Goethe scriveva questi versi (e ben altri, per nostra fortuna),
nella vicina Austria Wolfgang Amadeus Mozart faceva
cantare il desiderio di cioccolata nella sua opera "Così
fan tutte".
Non finisce qui: era amata, tra i musicisti, da Ciaikovsky
e Strauss; tra gli scrittori, da D'Annunzio,
Stendhal e Manzoni. Nella Strada di Swann
anche Marcel Proust scriveva: "... ci veniva offerta
una crema al cioccolato fuggitiva e leggera..."
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Cibo
degli dei o cibo del diavolo?
Il cioccolato (o theobroma, cibo degli dei, come
lo chiamò Linnèo, nel '700), nonostante i
suoi innumerevoli ammiratori, ha incontrato anche temibili
nemici, che lo hanno considerato un alimento diabolico.
Al cacao sono state rivolte le più ignobili accuse,
le colpe più infamanti, quasi come se un ingrediente
così gustoso dovesse necessariamente nascondere lati
oscuri e provocare i più biechi disturbi: favorire
brufoli, dermatosi e acne, scatenare l'herpes, l'orticaria,
ingrassare a dismisura, provocare carie, alzare il livello
di colesterolo, o creare dipendenza...
Ebbene, negli ultimi tempi scienziati, medici e studiosi
di alimentazione hanno smontato, una per una, ogni accusa
arrivando a conclusioni a volte addirittura opposte, come
è successo nel caso delle carie.
Sono state confermate invece le qualità nutritive
ed energetiche che già nel '700 qualcuno aveva ipotizzato.
Nell'analisi di tutte le 850 componenti del cioccolato,
particolare interesse hanno destato la teobromina,
stimolante del sistema nervoso centrale e la feniletilamina.
Quest'ultima sostanza è stata oggetto di recenti
studi che hanno accertato una relazione tra consumo di cioccolato
e diminuzione del fenomeno della depressione. E' stato provato
infatti che il cioccolato aumenta la tendenza all'allegria,
quindi chi lo consuma è più allegro di chi
non lo consuma (rafforza la volontà, cancella la
fatica e fa ritrovare benessere e buonumore). E non solo.
Esisterebbe anche una connessione tra consumo e intensa
attività amatoria, grazie alla presenza di questa
sostanza euforizzante che avrebbe proprietà afrodisiache,
proprio come si sosteneva quasi 5 secoli fa.
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